giovedì 7 marzo 2013

Subordinazione della vita al lavoro


Uno dei modi più antiquati di fare male alle donne è non raccontare loro (tutta) la verità. Il fatto che ciò avvenga su un “volantino sindacale”, per di più scritto da una donna,  aggiunge solo quel pizzico di sadismo in più di cui nessuno sentiva realmente il bisogno.

Si sostiene infatti, sul volantino della Cisl del 6 marzo, che la Banca avrebbe accolto già da mesi “tutte le richieste” sul tema dell’orario di lavoro(avanzate dal tavolo Cida-Cgil-Cida-Dasbi-Fabi su suggerimento della Commissione Pari Opportunità, ossia - per metà - dalla Banca stessa, ndr). 
Accordo che non vedrebbe la luce per l’opposizione dei cattivoni “Falbi&Sibc&Uil” che fanno opposizione “a prescindere”.

Ora, senza fare polemiche con chi sta trascinando a picco un sindacato che aveva una sua storia rispettabilissima, ma è ormai ostaggio di un manipolo di conquistadores, ci limitiamo a ribadire - per chi non lo avesse capito - che noi siamo pronti a firmare tutte le proposte della Banca in tema di maggiore flessibilità, in ingresso, in uscita, in pausa pranzo, tutte le proposte in tema di telelavoro, lavoro a distanza e banca del tempo, tutte le proposte sul part-time, tutte le proposte in materia di tutela della genitorialità (invero scarsissime) e del diritto allo studio.

Siamo disposti a firmarle anche se rappresentano una versione molto scolorita di alcune (e solo di alcune!) delle proposte di grande spessore che il tavolo Falbi, Sibc e Uil aveva avanzato esattamente un anno fa. 

Purtroppo, NON POSSIAMO FIRMARLE, per il semplicissimo motivo (che quel volantino curiosamente omette) che la proposta della Banca - allo stato - prevede ben altro. 
Prevede, per esempio, che i possibili “diritti di flessibilità oraria” possano essere trasformati - a scelta di ciascun Capo struttura - in “dovere di rigidità oraria”, e ciò NON in via del tutto eccezionale, bensì per quote significativissime di personale, per periodi non limitati, per motivazioni evanescenti, in cambio di niente. Perdendo non solo le nuove flessibilità, ma persino quelle già oggi esistenti! (e sottoponendo il lavoratore al potere di ricatto dei Capi, aumentato a dismisura dalle nuove proposte in tema di valutazione e conseguente busta paga, ndr).

Pensate a una donna (ma anche a un uomo) che organizza la sua vita per prendere o portare i bambini a scuola, o occuparsi dei genitori anziani, e che - per inappellabile decisione del capo del Servizio o del direttore di Filiale - si veda costretta/o per 20 giorni, poniamo, a irrigidire il proprio orario in modo inconciliabile con i suoi doveri di cura. Questa non è “conciliazione fra vita e lavoro” è “subordinazione della vita al lavoro”!

Il tema quindi è molto semplice: si vuole certificare la possibilità, per i capi delle strutture, di scaricare sul personale l’inadeguatezza propria, della dotazione quantitativa di risorse e/o dell'assetto organizzativo. Questo è il nocciolo della questione. Paghiamo comunque noi. Vi pare giusto? E’ la festa della donna, o qualcuno vuole “fare la festa” alla donna (ma anche agli uomini, ndr)? 

Spiace che sia un volantino sindacale a farsi portavoce, ancora una volta, della posizione-Banca. 
A fronte di “zero potere contrattuale” dei sindacati per contrattare (o addirittura per conoscere!!) quale e quanto personale deve essere addetto a ciascuna struttura e quali dotazioni infrastrutturali vengono messe a disposizione (procedure, macchinari, logistica etc), si vuole consegnare il potere di disporre coattivamente delle persone (PERSONE!!) che lavorano in ciascuna struttura, senza limiti temporali, senza motivazioni sostanziali e soprattutto senza neanche dover riconoscere un indennizzo economico per le rigidità orarie loro imposte. 

Sia detto per inciso, questa previsione sancirebbe anche il fatto che le mansioni superiori, ma anche inferiori, diventino una regola: essendo infatti pacifico che sia impossibile riprodurre per quote di personale lo stesso assetto gerarchico e funzionale di una struttura a pieno organico. Ennesima regalia a mamma Banca, alla quale opponiamo la nostra convinzione che firmare proposte peggiorative delle condizioni di lavoro sia estraneo al mestiere di sindacalista. Come noi lo intendiamo, almeno.

Provi, la Cisl insieme ai suoi compagni del tavolo dei direttivi, a proporre alla Banca il contraccambio di quanto fecero sul "pacchetto pensioni": si facciano subito dare da mamma Banca tutto il “pacchetto flessibilità”, e noi in cambio partecipiamo a un “Commissione tecnica paritetica di studio” sulle esigenze della Banca. Affidiamoci alla buona fede (?) dell’altro una volta per uno.      

Molestare le donne facendo credere che ci sia chissà quale vantaggio a firmare proposte oscene di cui nascondono volutamente le mille insidie (ma gli alleati sono tutti d'accordo? ndr) è un modo indegno di “festeggiare” l’8 marzo.
Noi invece lo facciamo raccontando le cose come stanno, impegnandoci a migliorarle. Ogni giorno.

Alberto Antonetti

8 marzo delle persone


8 marzo festa delle donne,
8 marzo giorno in cui, si sposta per alcune ore l’attenzione sul mondo al femminile, sulle conquiste ottenute, conquiste economiche, sociali, culturali,
8 marzo giorno in cui ripensiamo alla fatica d’esser donne, a quanto cammino c’è ancora da fare per valorizzare le diversità di genere, al di là delle abitudini e delle ricorrenze.

In realtà l’8 marzo dovrebbe essere un giorno in cui la donna possa riprendersi anche solo per “un giorno” il suo tempo, giusto il tempo che serve a tirare un respiro profondo, a guardarsi per un attimo indietro a riflettere su ciò che è stato fatto e subito ripartire più attiva e più combattiva di prima.
Sì, perché non possiamo stare nell’immobilismo dei diritti acquisiti, troppe sono ancore le cose da fare, perché troppe, e da troppo tempo, sono le cose negate alle donne, sia in occidente che in altri paesi.

In Italia il movimento “Se non ora, quando” ha portato in piazza una moltitudine di donne, le quali  hanno dimostrato al Paese che anche nel silenzio, non hanno mai smesso di lavorare per loro stesse, per la propria famiglia, la propria comunità e per la società tutta, e che forse sia giunto il momento in cui gli uomini debbano smettere di pensare alla donna come corpo da sfruttare e come capo espiatorio dei propri fallimenti e frustrazioni, o come compagna utile a partorire prole e pietanze.
Le donne non chiedono la luna, chiedono l’opportunità di essere riconosciute come teste pensanti, di essere riconosciute come persone in grado di apportare il proprio contributo alle scelte politiche e sociali del proprio paese, anche perché di fatto esse in parte lo fanno già con la cura dei figli e della famiglia, alleggerendo allo Stato il peso del welfare.

Proprio perché esse vivono sulla propria pelle qualsiasi problema del primo nucleo della società, cioè della famiglia: esperimenti di ciò che necessita alla conduzione di una vita dignitosa per sé, per il partner, per i figli, e adesso anche per i familiari sempre più anziani, chiedono opportunità di accesso al lavoro e pari riconoscimento economico al proprio lavoro, chiedono maggiore possibilità di accesso all’istruzione e alla cultura, chiedono pari opportunità per le persone diversamente abili in quanto anche loro figli di una società civile con uguali diritti di uomini e donne che si ritengono “abili”, e le esperienze dimostrano che persone con gravi malformazioni anche sin dalla nascita, se amorevolmente e correttamente assistite e curate possono rivelarsi persone in grado di apportare notevoli contributi anche allo sviluppo culturale e scientifico di un paese, se non del mondo intero, cito ad esempio il fisico siracusano Fulvio Frisone.

Le leggi sono state fatte, esistono già: l’art. 3 della Costituzione Italiana garantisce uguaglianza fra le persone, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni sociali e personali, e la Repubblica  ha il compito di rimuovere gli ostacoli che limitano l’uguaglianza delle persone.
Di fatto tutto ciò risulta molto difficile da realizzare, nonostante l’istituzione di un Ministero delle Pari Opportunità, nonostante l’istituzione di Codici di Pari Opportunità, di Commissioni Pari Opportunità (o forse proprio lo testimoniano l’esistenza di un ministero e di un codice delle Pari Opportunità), nonostante le raccomandazioni in tutti i luoghi di lavoro per garantire pari opportunità, garantire buone prassi ed opportunità per un numero sempre crescente di donne - meritevoli - a cui permettere di arrivare in posti decisionali e di comando (ma a ben guardare c’è sempre un uomo sopra di loro che le ha volute lì, o che le coordina, dirige, manipola). Non abbiamo mai avuto un Presidente del Consiglio donna, mai un Presidente della Repubblica o un Governatore della Banca d’Italia donna (ma forse neanche un capomafia...).
Ultimamente siamo riusciti a ricostituire il monocolore maschile nel Direttorio.

Sono ancora troppi gli stereotipi presenti nei nostri modi di pensare e di agire che ci impediscono di guardare all’altro come uguale a noi pur nella sua diversità, con le stesse potenzialità e fragilità.
E neanche la classe politica, per quanto rivestita di “quote rosa”, negli ultimi 20 anni in Italia (o forse 60?) ha saputo essere lungimirante, ha saputo lavorare per assicurare che i principi della Costituzione si traducessero in vita reale, in fatti della quotidianità (l’uguaglianza di genere, di razze, ecc.)
Ancora oggi non c’è chi, in un contesto lavorativo di qualunque natura (pubblico, privato, operaio, intellettuale), non pensi che una donna costituisce un rallentamento nella produttività, non consideri la maternità come un costo, la riflessività come ostacolo, i tempi di vita contrapposti ai tempi del lavoro e forse incompatibili...
Le leggi non hanno modificato questo substrato culturale che accomuna un po’ tutte le colorazioni politiche, sebbene idealmente alcune propugnino l’effettiva uguaglianza negli statuti e nei programmi.
La realtà di questi ultimi 20 anni ha ricacciato l’immaginario collettivo nei confronti della donna verso i più primordiali istinti dell’uomo cacciatore.
E non è possibile attribuire le responsabilità di tale regressione alle donne che per fragilità emotive e culturali hanno svenduto corpi e dignità. La responsabilità è sempre collettiva riguardo alle carenze culturali che hanno determinato tutto ciò, che hanno ridotto il valore della persona al valore del denaro e della transitoria bellezza fisica.
È vero che la stagione delle rivendicazioni violente della stagione del femminismo può considerarsi superata, ora lo strumento deve essere quello della consapevolezza del valore assoluto della persona, al di là del sesso, della razza, della lingua, della religione, delle condizioni personale e sociali.

Annamaria Papaleo 


DICONO DA FUORI - Spostare l'attenzione: dal genere alla persona

dal blog di Marcello Adriano Mazzola, avvocato, su ilfattoquotidiano.it


Un Paese fondato sulla disuguaglianza, sulle ingiustizie, sulla non tutela dei diritti, sull’arroganza e sulla corruzione, sulla illegalità diffusa, sulla furbizia. Un Paese incattivito, affamato, rabbioso. Un Paese che ha l’opportunità di cambiare volto, identità. 
....
In quest’ultimo mese qualche presunto leader ha farfugliato monosillabi come “lavoro, Imu, riforme” ma ben pochi sono andati oltre una fonetica imbarazzante, articolando idee e una visione del futuro.
Eppure c’è solo l’imbarazzo della scelta. Ma nell’imbarazzo c’è qualcosa di più importante: l’uguaglianza. L’art. 3 della Costituzione recita che tutti i cittadini, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni sociali e personali, sono uguali davanti alla legge(uguaglianza formale, primo comma). E che è compito dello Stato rimuovere gli ostacoli che di fatto limitano l’eguaglianza e di sviluppare pienamente la personalità sul piano economico, sociale e culturale (uguaglianza sostanziale, secondo comma). Poi l’art. 8 sancisce che tutte le confessioni religiose, diverse da quella cattolica, sono egualmente libere davanti alla legge.

Ma credete veramente che tutti i cittadini siano uguali davanti alla legge quando ogni giorno si consumano ingiustizie in nome delle leggi create volutamente diseguali, applicate in modo diseguale, ostacolando l’accesso alla giustizia? Ma credete veramente che lo Stato (questo) rimuova gli ostacoli che limitano l’eguaglianza invece di alimentare (con una vera e propria ingegneria giuridica, amministrativa, burocratica, di posizioni apicali e non) la disuguaglianza cementando i privilegi della cricca che si è impossessata del potere e lo gestisce con una rete massonica e familistica? Ma credete veramente che tutte le confessioni religiose siano paritarie rispetto a quella cattolica che ammorba ogni nostro dibattito, aula, spazio fisico e mentale, condizionando la nostra libertà?
Ed allora ecco che occorrerebbe una classe politica onesta, laica, etica, sognatrice capace di attuare finalmente (dopo oltre 60 anni) l’art. 3 della Costituzione. C’è invece chi vuole cambiare la Costituzione. Io chiedo invece che venga attuata. Di insegnarla (veramente) e di impararla a memoria.
Uguaglianza significa eliminare privilegi impropri e consentire a chiunque di realizzarsi, per meriti propri, costruendosi il futuro. Significa tutelare i più deboli ma consentire che escano da tale stato di debolezza, non mantenendoli deboli.

E qua, a margine, si apre una finestra sulle Pari Opportunità. In virtù della normativa europea il principio di pari opportunità è assenza di ostacoli alla partecipazione economica, politica e sociale di un qualsiasi individuo per ragioni connesse al genere, religione e convinzioni personali, razza e origine etnica, disabilità, età, orientamento sessuale. In Italia è invece rimasto ancorato al decreto legislativo n. 198/2006 noto come “Codice pari opportunità tra uomo e donna”, finalizzato a rimuovere ogni discriminazione tra uomo e donna. Anche questa limitata sensibilità offre l’idea della arretratezza culturale che tutt’ora permane. Da noi Pari Opportunità ancora oggi sono identificate come rivendicazione delle donne ad un maggior potere. L’erosione degli spazi dell’uomo.  

Qualcosa finalmente sta cambiando e finalmente l’attenzione si sta spostando sulle Pari Opportunità tra soggetti deboli e soggetti forti, in quanto questi ultimi ostacolano i soggetti deboli. Non è un problema di genere. Continuare a ricondurre la discussione alla discriminazione tra uomo e donna non è solo riduttivo ma è ancor peggio, fuorviante. Ed è disonesto perché si induce a credere che in Italia l’uomo continui a prevaricare la donna in quanto tale, in ogni campo, lasciando intendere che la donna si trovi in una sorta di medioevo. Tale credo, continuamente dopato dalla disinformazione, crea mostri come il diritto di famiglia diseguale, alimentato da una prassi giurisprudenziale indecente. Dove si consumano aberranti disparità (si pensi all’affidamento condiviso ma di fatto esclusivo).
Dobbiamo dunque spostare l’attenzione, così come da sempre avviene oltreconfine, dal genere alla condizione della persona. Solo così potremo realizzare le vere Pari Opportunità.


COSTITUZIONE - Articolo 37


La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore.
Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione.

LA POESIA - Dove sono quei canti? (Micere Mugo, Kenya)


(traduz. dall’inglese di M.A.Saracino)

Dove sono quei canti
Che mia madre e la tua
Cantavano sempre
Quei ritmi adeguati
A ogni aspetto della vita?

Che cos'è che cantavano
Mentre mietevano il granturco, trebbiavano il miglio, ammassavano il grano…

Che cos'è che cantavano 
Mentre ci facevano il bagno, o ci cullavano per farci dormire…
Che canzone cantavano
Mentre giravano la minestra
….
Che cos'è che cantavano
Durante le cerimonie
Della nascita
Del battesimo
Della seconda nascita
L'iniziazione….?
Come facevano a modulare lo ngemi
Come faceva
Quel canto di guerra?
Com'era quel canto di nozze?
Canta per me
Un canto funebre
Te lo ricordi?

Canta
Perché io ho dimenticato
Il canto di mia madre
Così i miei figli
Non lo impareranno mai

Questo io mi ricordo:
Mia madre mi diceva sempre
Canta figlia mia, canta
Crea il tuo stesso canto
E cantalo
Ma fa che quel canto sia pieno di anima
E che la vita stessa
Si metta a cantare