martedì 20 novembre 2012

Mister Bilderberg



Secondo diversi organi di informazione (fra cui il Messaggero), si sarebbe tenuta a Roma, la scorsa settimana, una riunione del “Gruppo Bilderberg”, gruppo para-massonico formato da personalità internazionali molto “influenti” in campo economico, politico e bancario. I partecipanti - che molti accreditano come fautori del c.d. "mondialismo", ossia di una teoria che vorrebbe spingere la globalizzazione fino a cementare poteri economici in grado nei fatti di spogliare la sovranità degli Stati nazionali - trattano una grande varietà di temi globali, economici, militari e politici.
A questa riunione avrebbe preso parte anche il Governatore della Banca d’Italia Visco (il sito Dagospia pubblica addirittura una foto dell’arrivo in auto del Governatore).


Sarebbe opportuno che il dottor Visco chiarisse il senso della sua (eventuale) presenza in siffatto consesso.

Non comprenderemmo infatti la partecipazione a riunioni per definizione "né istituzionali, né pubbliche", in palese contrasto con la “natura pubblica delle funzioni svolte”, rammentata dallo stesso Codice Etico per i membri del Direttorio e suscettibili, per la natura della riunione, di indebolire l'indipendenza della Banca d’Italia.

Come noto, il Sindacato Indipendente ritiene inspiegabile, e tutt’altro che condivisibile, l’atteggiamento di silente sottomissione con il quale la Banca d’Italia sta subendo il passaggio di rilevanti competenze in materia di Vigilanza a livello europeo. Ricordiamo infatti che l’Italia, anche grazie alle professionalità e alla
policy di Vigilanza seguita nell’ultimo decennio, non si sono registrati casi di drammatica insolvenza bancaria che hanno caratterizzato anche quei Paesi che oggi dettano legge in tema di “Unione bancaria”.
Si tratta, nei fatti, di un indebolimento dell’Istituzione, del suo ruolo e della sua indipendenza, che sta passando nell’incredibile silenzio di comunicazioni ufficiali verso il personale della Banca.

Ora, pretendere una risposta dal Governatore sarebbe troppo ardire. Come ricorderete, il 29 maggio scorso osammo rivolgergli 10 domande sulla gestione della Banca e il suo futuro. Sono passati sei mesi. Le domande sono ancora senza risposta, ma sono sempre più attuali. Per questo le ripubblichiamo integralmente su questo numero di Proibito (vedi altro articolo).

Nel frattempo, il Governatore ha però trovato il tempo di rispondere a 23 scomodissime domande di Massimo Giannini su Repubblica (“Che tipo di emergenza, Governatore?”...”lo spread è rimasto su livelli troppo elevati nelle ultime settimane. Lei come la vede?”).
Ci farebbe però piacere che il Governatore, ogni tanto, si ricordasse di essere anche al vertice di un’Istituzione fatta di donne e uomini in carne e ossa, di grande valore e grande professionalità, che meriterebbero una maggiore considerazione della dignità del proprio lavoro. Le domande che ponemmo, e che oggi riproponiamo, erano pensate proprio nell’interesse di chi in Banca ci lavora e ci lavorerà per anni, e ha quindi il diritto di conoscere cosa pensa il Vertice su alcune delle tematiche più “centrali” nella vita di ciascuno di noi.
O dovremo fargliele porre da qualcuno del Bilderberg? Se serve, ci attrezziamo.

10 domande al Governatore. Sei mesi e non sentirli.



In prossimità della sua prima relazione annuale in veste di Governatore, avevamo rivolto al dott. Ignazio Visco alcune domande di grande interesse per tutte le lavoratrici e i lavoratori della Banca d’Italia.

DOMANDA UNO - IL TRAMPOLINO
Dai primi anni ‘90 la carica di governatore e membro del Direttorio si è tramutata in un formidabile trampolino di lancio per alti incarichi: Ministro del Tesoro, Presidente del Consiglio, Presidente della Repubblica, Presidente della BCE.  A conferma dell'altissima professionalità di donne e uomini che lavorano in Banca d’Italia.
Eppure, sempre dai primi anni ‘90, il potere di acquisto della retribuzionedi queste stesse donne e uomini che lavorano in Banca è fortemente calato.
Non trova contraddittorio che chi sta in alto voli sempre più in alto, mentre tutti gli altri, che hanno consentito il volo, vengono sempre più schiacciati verso il basso?
Oppure la nostra progressiva ministerializzazione è un prezzo da pagare per ottenere certi incarichi?

DOMANDA DUE - LE SPESE CHE NON SI TAGLIANO
A proposito del controllo sulla gestione delle spese, che fine ha fatto la vendita programmata dei tanti palazzi, sede delle Filiali chiuse?
E inoltre: può farci sapere quanto ha speso la Banca per il progetto di costruzione di 144 alloggi vicino Vermicino, per le licenze edilizie, i progetti, le opere di urbanizzazione e lo spostamento di 500 piante di ulivo - tutto per un progetto che il Direttorio ha deciso sul più bello di abbandonare?
Ancora: Lei è consapevole della quantità di missioni non istituzionali disposte dalla Banca?
E’ anche consapevole che si tratta di una prassi che - ai livelli in cui è arrivata - sovverte in modo non trasparente, non oggettivo, non necessariamente meritocratico le tabelle stipendiali contrattate?
Come mai la tanto sbandierata riorganizzazione dei servizi dell’Amministrazione Centrale, iniziata con il Servizio Studi e l’Area Vigilanza, non ha ancora riguardato lo scandalo dei due Servizi del Personale? Per caso, è una questione di poltrone? Cosa direbbe il Governatore di una banca ispezionata in cui venisse scovata l’esistenza di due Servizi del Personale?
Ritiene opportuno svolgere una riflessione su questi punti?

DOMANDA TRE - CONDIVISIONE O VERTICISMO AUTORITARIO?
La Banca d’Italia è una grande Istituzione. Ma è anche un’azienda, con entrate, uscite, costi, ricavi, personale, investimenti. Pare sia un’azienda sana, visto che evidenzia utili più che milionari.
Lei non ritiene che - oltre ai meriti del Direttorio - sia anche un po’ merito di chi lavora in Banca a tutti i livelli?
Per dire, anche la Volkswagen è un’azienda sana, che fa utili, che ha costi, ricavi, personale e investimenti. E ha anche molto rispetto per chi ci lavora: infatti, al vertice del gruppo, i sindacati nominano la metà del Consiglio di Sorveglianza, l’organo di controllo sulla gestione. E’ un modello diverso: “condivisione” invece di “verticismo autoritario”. Lei ci dirà: ma la Volkswagen è tedesca, e soprattutto è un'industria! Ma le diremmo che anche alla Banque de Franceun rappresentante del personale partecipa alle riunioni del Direttorio e ha diritto di interlocuzione. Non crede che sia giusto che anche i lavoratori della Banca d’Italia abbiano voce in capitolo sul controllo della gestione?

DOMANDA QUATTRO - APPALTI E DISSERVIZI
Da tempo, i servizi che la Banca ha acquisito attraverso appalti esterni evidenziano un funzionamento ampiamente deficitario. Pensiamo alla copertura sanitaria, ai ritardi cronici per i rimborsi della Caspie. Pensiamo agli appalti mensa, in cui vince solo chi chiede meno soldi alla Banca, poi i problemi alimentari li subiscono i dipendenti. Pensiamo agli appalti per le pulizie
Quali le cause? La prima, che gli appalti vengono strutturati in modo da comportare il minore esborso possibile per la Banca, senza troppo badare alla qualità, il che è già abbastanza sgradevole, non trova?
La seconda causa è che, una volta assegnato l’appalto, i controlli su come il servizio viene gestito sono a dir poco “superficiali”.
Che iniziative intende prendere il Direttorio per rimuovere le cause di questi disservizi?

DOMANDA CINQUE - LE PENSIONI DELLA PERFIDA ALBIONE
Come Lei ben sa, i colleghi più giovani si sentono fortemente penalizzati rispetto ai colleghi per tanti motivi, in primis per la forte distanza della pensione prevista rispetto a quella degli “ante ‘93”. Un fatto di equità, per valutare la quale sarebbe utile cominciare col fare trasparenza sul complessivo trattamento previdenziale assicurato ai membri del Direttorio.
Detto questo, l’Amministrazione giustifica i danni previdenziali sui giovani dicendo “le leggi non le possiamo cambiare”. Vero, ma nemmeno ci si può inventare che nelle leggi ci sia scritto quel che non c’è scritto.
Ad esempio, non c’è scritto in nessuna legge che i giovani debbano rimanere con una pensione pari a metà dello stipendio. Lei dirà: già facciamo tanto, tra i contributi cui siamo obbligati per legge e quelli contrattati per il fondo! Sarà pure così, ma poi ci è capitato di leggere un articolo di una rivista straniera che racconta di una Banca Centrale dove il contributo per la pensione dei dipendenti è pari al 56% della retribuzione stessa. La rivista è l’Economist, e la Banca Centrale non è quella di Timbuctu, o delle Filippine. E’ la Bank of England. Non sarà che siamo troppo parsimoniosi rispetto ai nostri colleghi inglesi? E perché?

DOMANDA SEI - I RAPPORTI CON LE BANCHE
E’ dai tempi di Tangentopoli che la Banca d'Italia non si accorge del fiume delle tangenti e di traffici illeciti di denaro che passano attraverso le banche. Al di là di sofisticati modelli matematici, come pensa di rendere più efficaci - anche su tali versanti “criminali” - le ispezioni e i controlli di vigilanza delle Banche?
Come mai, a parte la conclamata e meritoria azione della UIF, la Banca d’Italia dà spesso l’impressione di essere “distratta” nelle vicende che coinvolgono il settore bancario?
E a proposito di rapporti con il sistema bancario, perché non si interviene con decisione affinché le banche tornino a fare le banche e ad erogare soldi a imprese e famiglie, per superare il grave momento di crisi?

DOMANDA SETTE - PROMUOVIAMO L'EQUITA'
Non Le sfuggirà quanto spesso si sente parlare di equità e di trasparenza... Ci può allora spiegare, gentilmente, a quale concetto di equità si ascrive il fatto di promuovere ogni anno il 20% dei dirigenti, contro il 4% dei funzionari, il 5% dei coadiutori e l’1,9% degli assistenti? Lei ritiene che ci siano lavoratori di serie A e di serie B?
Oppure ci spiega cosa intende fare per porre fine, in Banca d’Italia, a un’iniquità assurda che alimenta la demotivazione proprio fra i più meritevoli e chi la carriera non l’ha fatta, o perché entrato da poco in banca, o perché costretto a rinunciare dai colli di bottiglia, che sono sempre più simili ai nodi scorsoi?

DOMANDA OTTO - IL PERSONALE A CONTRATTO
A proposito di dipendenti di Serie A e di Serie B: ma sa che abbiamo scoperto l’esistenza anche di lavoratori di Serie C?
Cosa aspetta la Banca d’Italia a regolarizzare, immettendoli a ruolo, i numerosi contrattisti che svolgono stabilmente anche funzioni obbligatorie per legge, e ai quali la Banca riserva un trattamento inadeguato rispetto al lavoro svolto?

DOMANDA NOVE - IL BLOCCO TRIENNALE O QUARANTENNALE?
E’ consapevole che il blocco stipendiale del triennio 2011-2013 - che come noto nessuna legge imponeva alla Banca d’Italia - grava in modo molto pesante su tutti i colleghi, ma in modo abnorme sui colleghi più giovani, su chi ha davanti 20, 30 o 40 anni di lavoro?
E’ consapevole che senza misure compensative questo equivale a sottrarre - nell’arco della vita lavorativa - intere annualità di stipendio?
E’ giusto secondo lei che la manovra finanziaria gravi in modo discriminatorio fra le generazioni? E’ giusto secondo lei che qualcuno qui dentro lavori 40 anni e se ne veda pagati 33?

DOMANDA DIECI - MA CHE VOLETE FARE, DAVVERO?
A dar credito alle parole, la Banca d’Italia ritiene che la Riforma delle Carriere sia necessaria da più di un decennio, o quantomeno da quando l’ha scritto lei stessa, nero su bianco, il 26 giugno 2008.
L’orario di lavoro in Banca d’Italia presenta rigidità che non si trovano nemmeno nella Pubblica Amministrazione e che rendono davvero difficile conciliare le esigenze di vita e di lavoro dei colleghi.
Insomma, di cose da fare ce ne sarebbero a iosa.
Ma il Direttorio ha interesse a negoziare con i Sindacati, ha interesse a migliorare le condizioni e l’organizzazione del lavoro?
In caso affermativo, perché nel frattempo i Segretari generali incaricati per le trattative si susseguono uno dopo l’altro a distanza di pochi mesi, così che la tela di Penelope vada ogni volta tessuta di nuovo?

Roma, 29 maggio 2012
                                                      LA SEGRETERIA NAZIONALE

CSR: per una "politica del fare" (bene)



RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO UNA LETTERA-APPELLO FIRMATA DA ALCUNI SOCI DELLA CASSA, DOPO I NOSTRI INTERVENTI RELATIVI ALLA MODIFICA DELLO STATUTO DELLA CSR, CHE SOTTRAE AI SOCI IL POTERE DI SCEGLIERE LE PERSONE CHIAMATE A GESTIRE LA CASSA MEDESIMA

Per il codice civile italiano, una società cooperativa è costituita per gestire in comune un'impresa che si prefigge lo scopo di fornire innanzitutto agli stessi soci quei beni o servizi per il conseguimento dei quali si vita alla cooperativa. Alla base della cooperativa c'è dunque la comune volontà dei suoi membri di tutelare i propri interessi ottenendo prestazioni a costi inferiori a quelli di mercato e comunque in maniera soddisfacente.
Quello che sembrerebbe il prologo di una lezione di diritto commerciale in realtà è il richiamo a quelle che sono le ragioni alla base della costituzione della CSR.
 
Pur tuttavia tante circostanze inducono a ritenere che questo scopo mutualistico è stato da taluni smarrito; soprattutto sembrerebbero averlo smarrito gli amministratori, cioè i soggetti cui i soci con il loro voto hanno affidato l'incarico di realizzare al meglio i loro interessi.
Ci permettiamo di dire ciò per due ordini di ragioni: la prima legata alla tipologia e qualità dei servizi forniti ai soci, la seconda afferente il modo con cui l'organo amministrativo svolge le sue funzioni.

La CSR è una banca abilitata da un punto di vista legale alla prestazione di tutti i tipi di servizi bancari ai suoi clienti, specialmente se soci; nonostante questa preliminare costatazione si rileva che ad oggi la stessa non offre:
- mutuo a tasso fisso per acquisto immobile a condizioni coerenti con la sua finalità mutualistica;
- polizze assicurative caso morte che ben potrebbero essere utilizzate da coloro che contraggono prestiti con la CSR per coprire il debito residuo in caso di prematura dipartita (la polizza che la Banca d'Italia offre al personale copre al massimo 3 annualità di stipendio e per i più giovani non consente quindi di coprire il debito di un mutuo contratto per l'acquisto della casa);
- assicurazioni responsabilità civile auto a condizioni realmente vantaggiose;
- possibilità di acquistare fondi comuni di investimento a condizioni vantaggiose avvalendosi di piattaforme online, come quelle offerte da Fundstore e Fondionline per citarne solo alcune;
- certificati di deposito e/o obbligazioni con cui consentire ai clienti di investire capitali a medio termine e al contempo alla CSR di meglio gestire il rischio di tasso di interesse cui è esposta in ragione della sua struttura di bilancio;
- carte prepagate che i genitori possono ad esempio dare in uso ai figli, specie se minorenni, con una relativa tranquillità.

Quelli citati sono ordinari servizi/prodotti che le banche offrono ai clienti, lo fanno anche banche di minime dimensioni; eppure la CSR no !

Tutto ciò nonostante annoveri un consiglio di amministrazione di ben 11 membri, costantemente impegnati in attività “dialettica” tra loro.
La recente ispezione di vigilanza ha rilevato proprio questa "paralisi" dell'attività del CdA e, cosa assai singolare, la cura proposta è stata quella di togliere ai soci il controllo sul potere di nomina di chi gestisce la banca.  
Come se l'inoperatività del CdA fosse responsabilità dei soci e non di chi attualmente amministra la CSR!

Certo situazioni di stasi operativa potrebbero ben presentarsi anche con un CdA costituito da altri elementi, ma crediamo che il problema della NOSTRA cooperativa non possa essere risolto con il sistema duale e con la designazione degli amministratori non da parte degli unici proprietari di CSR (tutti noi!) bensì – di fatto – da parte dei vertici di Banca d'Italia.

Riteniamo che la soluzione passi attraverso il conferimento di deleghe da parte del CdA a specifichi soggetti così come avviene nella quasi totalità delle banche italiane che, fortunatamente per il nostro Paese, operano con relativa regolarità e successo.

Proponiamo che non si proceda ad alcuna modifica statutaria circa il sistema di governo societario, ma che il CdA conferisca ad un amministratore specifici poteri per l'ordinaria attività aziendale e che lo stesso agisca in modo coordinato con il direttore generale. Il consiglio di amministrazione, come previsto dalla legge, vigilerà sull'esercizio della delega da parte dell'amministratore e fornirà indicazioni, suggerirà correzioni di rotta, revocherà la delega ove mal gestita.
Così facendo l'amministrazione della CSR resterebbe nelle mani di persone scelte dai soci e a cui essi devono rispondere. Ben si potrebbe imporre per l'amministratore delegato la presenza di requisiti di professionalità rafforzati, ma non certo definiti in modo tale da poter dire a priori quali sono il suo nome e cognome.

L'adozione del sistema duale e la fissazione dei requisiti di professionalità "particolari" – non previste neppure per gruppi bancari di particolare rilevanza sistemica – si tradurrebbe in una cessione di sovranità equivalente alla soggezione della CSR al Direttorio & Co.

Al fine di riportare “sulla retta via” gli attuali amministratori vi chiediamo di appoggiare questa petizione con cui li invitiamo ad adottare interventi come quelli sopra descritti.
E anche ad approvare sollecitamente TUTTI i provvedimenti che avevano promesso a noi soci 18 mesi fa, per carpire il nostro voto alle elezioni.

Lettera firmata

Considerazioni sulla D.S.C.



Ho letto con interesse, su “Proibito”, gli articoli sul festival della DSC di Verona e propongo a riguardo alcune considerazioni.
E’ vero che la crisi che ci attanaglia da ormai un quinquennio non è una delle tante che ciclicamente ricorre ed è naturale che la sua profondità induca a cercare risposte più ampie, di portata sistemica. Le prescrizioni dell’ortodossia economica, infatti, improvvisamente appaiono vecchi arnesi, inadatti alla bisogna.
La Chiesa cattolica è sempre stata una voce avversa ai paradigmi dell’”homo oeconomicus”, ossia alla vulgata secondo cui l’egoismo dei singoli, lasciato libero di operare senza pastoie, conduce ad un livello di benessere altrimenti non raggiungibile.
Conseguentemente chiede che i principi di fondo del vivere sociale siano applicati anche all’operare in ambito economico. E, con Benedetto XVI, invoca un maggiore impulso al settore no-profit.
Tuttavia le critiche sembrano mancare il bersaglio. Non esistono infatti, nei paesi democratici, sospensive del diritto: i principi costituzionali sono operanti in ogni ambito, a prescindere dalla vigenza di specifiche leggi secondarie. Non vi è una zona franca costituzionale in economia. Così come non ne esiste una nella politica. In entrambe l’operare deve essere conforme allo spirito (non semplicemente alla lettera) dei principi costituzionali.
Poiché, dunque, il problema non è la carenza di norme, la soluzione non potrebbe consistere nell’istituirne di nuove. Occorrerebbe invece riflettere sul perché principi cardini della convivenza civile vengano disinvoltamente violati, a cominciare dai vertici. 
E perché ciò non ingeneri intollerabile sdegno nella generalità dei cittadini.
La Chiesa punta l’indice contro il relativismo dilagante. Ma non è forse questo un effetto della disillusione indotta dai fallimenti degli assolutismi - di matrice religiosa e laica – che hanno segnato i secoli con scie di sangue e distruzione?
L’invocato <<riconoscimento della dimensione metafisica>> non rappresenta la soluzione ma è parte del problema.
Difatti, se da un lato è innegabile che, al fondo, ognuno abbia un proprio abbandono metafisico, proprie speranze (o preferenze) riguardo ai destini ultimi; d’altro canto, tuttavia, non è possibile assimilare immanente e trascendente. In particolare, le proposte per migliorare le relazioni e le condizioni di vita nelle società di questo mondo debbono fondarsi su criteri riconoscibili da tutti, senza dover aderire ad alcun dogma. La bontà di ciascuna proposta deve essere vagliata alla luce degli effetti concreti che produce nella società, ossia della sua  effettiva capacità di promuovere equità e giustizia.
Nelle società democratiche i diritti fanno capo ad ogni singolo cittadino. Il che è un passo avanti decisivo rispetto ad epoche in cui i sudditi acquisivano diritti in ragione dello specifico gruppo di cui erano membri. Tuttavia, l’acquisita titolarità dei diritti da parte dei singoli, implica che gli stessi siano ora i portatori ultimi di doveri. I diritti, infatti, non esistono in natura ma conseguono dalla disponibilità reciproca ad assumere doveri, ossia ad autolimitarsi a vantaggio di un maggior bene comune.
Ed è proprio l’effettiva sussistenza di una tale disponibilità il tratto distintivo delle nostre società dalla legge di natura (la “legge della giungla”). Occorre dunque rifocalizzare il dibattito su tale precipuo aspetto, se le nostre società devono superare lo smarrimento valorialeche appare caratterizzarle crescentemente.

Nicola Firmani