Schivare il concreto è uno dei fenomeni più inquietanti della storia dello spirito umano. (Elias Canetti)
«Male! male! Come? Se ne sta forse tornando ... indietro?» Sì! Ma lo comprendete male, se vi lagnate di ciò. Arretra, ma a somiglianza di chiunque voglia spiccare un gran salto ... (Friedrich Nietzsche)
La storia dell’Europa unita inizia a Roma il 25 marzo 19 57, con la firma del trattato che istituisce la Comunità economica europea e di quello che istituisce la Comunità europea dell'energia atomica.
Per “Trattato di Roma” si intende il primo di questi documenti, il cui nome è stato successivamente cambiato in Trattato che istituisce la Comunità europea (TCE), noto come “Trattato di Maastricht” e di nuovo cambiato in Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) o “Trattato di Lisbona”.
L’idea dei padri fondatori è quella di inaugurare una fase storica di pace e cooperazione, dopo le due disastrose guerre mondiali, combattute principalmente sul suolo del Vecchio Continente. Il compito che ci si prefigge è immane, seppure i paesi membri vantino radici (greco-romane e giudaico-cristiane) comuni. Superare secoli e secoli di divisioni e scontri è purtroppo tutt’altro che semplice. Col tempo si decide di iniziare concretamente l’opera, con l’obiettivo di creare un’area valutaria (e una moneta) comune. Dopo i primi tentativi (“serpente monetario” etc.) nel 1979 nasce lo SME, al quale aderisce anche l’Italia. Per l’Italia l’adesione allo SME rappresenta una vicenda con alti e bassi: dal “divorzio” tra Tesoro e Banca Centrale del 1981 (forse “primo atto” della creazione della moneta comune nel nostro Paese) alla drammatica crisi del 1992. La convergenza però almeno apparentemente funziona e quindi nel 1998 l’Italia entra a pieno titolo nell’area della nuova moneta unica, l’Euro. La presenza nell’area dell’euro comporta però anche oneri gravosi, come ad esempio il rispetto dei “parametri” espressi nel Trattato di Maastricht, i cui due più noti sono quelli del 3% tra deficit e Pil e del 60% tra debito e Pil, riaffermato con forza anche nell’ultimo “fiscal compact”. Il primo parametro è stato spesso rispettato nel corso degli anni, anche perché l’Italia vanta dal 1991 un più o meno consistente “avanzo primario” nei conti pubblici a cui però si affianca un pesante onere per interessi, in netta ascesa dall’inizio degli anni 80 (dopo il “divorzio”). Pertanto le politiche di rientro del debito e quindi di austerità continuano a essere definite “necessarie”. Quanto sostenibili e attuabili sarà da vedere.
Per quanto attiene al lato politico (e culturale), quel che si cerca di fare in Europa è di giungere all’uguaglianza degli individui nell’ambito democratico. Ci si può chiedere però quale sia il modello di riferimento per l’uguaglianza: uguali a chi? Nonostante Giuseppe Mazzini auspicasse una “Europa dei popoli” e Charles De Gaulle prediligesse una “Europa delle patrie”, quella che vediamo oggi è invece una “Europa del “pensiero unico” che propugna un’ideologia così descritta dallo storico Luciano Canfora: «L’“europeicità” è diventata la nuova ideologia, soprattutto presso la ex sinistra. Qui alligna ormai sempre più spesso il monito intimamente compiaciuto e pensoso: “Ce lo chiede l’Europa!”. Un tale ritornello, che serve a tappare la bocca a qualunque rilievo critico, è solo una parte dell’ideologia “europea”. Si finge infatti che l’epiteto “europeo” (di cui si ignorano peraltro il contenuto e il significato, nonché l’ambito geografico), possa, e anzi debba, riferirsi – qualificando e promuovendo – a un qualche oggetto o fatto o comportamento. Per non parlare della “prospettiva” che è sempre tenuta ad essere “europea” ».
In un contesto reso più difficile dalla crisi, il prosieguo del processo di unificazione (compito immane, come detto) necessiterebbe di un’idea e di un’ispirazione nuove che dovrebbero scaturire anche da un nuovo momento di partecipazione dei cittadini. Un “colpo d’ala” che non si intravvede all’orizzonte.
Per quanto riguarda invece il quadro globale nel quale l’Europa si inserisce, la crisi apertasi negli ultimi anni ha investito i concetti-cardine scaturiti dal crollo dell’Unione Sovietica, ovvero l’egemonia unipolare statunitense e il sistema liberista, che costituiscono i pilastri della strategia globalizzatrice finora perseguita. La crisi si è manifestata in maniera progressiva dapprima come crisi finanziaria e dei mercati, poi come crisi economica del settore reale. Ora inizia a palesarsi come crisi di sistema e in definitiva “di civiltà”: “di sistema” in quanto nessuno degli “agenti” operanti presi singolarmente è in grado di affrontarla e risolverla; “di civiltà” (e quindi di “proposta culturale”) in quanto ci troviamo forse di fronte a quel tornante della Storia che segna la fine dell’egemonia occidentale come la conosciamo più o meno a partire dal 1492.
Il “Centro regolatore” che finora presiedeva all’assetto globale non è più in grado di funzionare in maniera “stabile” e “ordinata”. Si tende quindi a un assetto “disordinato” (“caos globale”) e in prospettiva verso il cosiddetto “multipolarismo”. Resta da vedere se questo “trapasso” avverrà in maniera indolore o meno. Gli esempi storici registrati finora purtroppo non ci spingono all’ottimismo. In ogni caso la crisi continuerà a manifestare i suoi effetti. E’ probabile tuttavia che le varie forze in campo si illuderanno a lungo sulla possibilità di ripristinare un equilibrio e una mutua cooperazione, continuando ad incontrarsi, sfruttando organismi e istituzioni internazionali creati però nella precedente epoca (prima bipolare, poi monocentrica) fingendo che essi funzionino ancora da luoghi di accordo e composizione dei contrasti. Simile finzione però non regge più e ciò spiega i continui nulla di fatto dei vari G-x e l’impasse dell’ONU.
Occorre dunque prendere atto della realtà (del “concreto” come direbbe Canetti), e affrontarla in maniera “adulta”. Una riflessione seria va fatta senza tabù, anche con l’idea di fare un passo indietro, con l’obiettivo sperabile di spiccare il salto “nicciano”.
Passo indietro che per l’Italia significa ad esempio affrontare anche i problemi della “sovranità” e del “ricambio” della classe dirigente (politica, economica, imprenditoriale, sindacale) che in prospettiva rischiano di far entrare in disfacimento il Paese. La classe dirigente viene infatti sempre più manifestamente contestata perché non in grado di difendere gli interessi nazionali e quelli della quota maggioritaria del suo popolo.
Nel frattempo, l’ingresso nell’arena elettorale di una pretesa visione “tecnica” segna uno spartiacque nella storia politica italiana: l’intenzione, apertamente dichiarata, è quella di sostituire alla tradizionale contrapposizione destra/sinistra la nuova pro UE/contro UE (o globalisti/sovranisti). La designazione dei campi politici contrapposti coincide con le analisi di intellettuali di diversa estrazione come Alain de Benoist o Costanzo Preve. Peccato che solo in parte questa contrapposizione (e i suoi significati) venga esplicitata ai cittadini. In definitiva, tra un’IMU e una TARES, forse sarebbe ora di pensare: quale Europa vogliamo?
Edoardo Tagliaferri