mercoledì 13 febbraio 2013

L'INCONTRO - Un convegno con Serge Latouche


Dove andiamo? Dritti contro un muro. Siamo a bordo di un bolide senza pilota”, parole di Serge Latouche, economista, “ateo della crescita”, “obiettore di decrescita”, miscredente dell’economia.
E’ indubbio che il sistema economico degli ultimi trenta anni non sia più sostenibile: prova ne è la crisi, afferma, che dal 2007 attanaglia i paesi occidentali e gli Stati Uniti.
Dal 1945 in poi abbiamo creato un marketing, una “fabbrica di bisogni” che non favorisce alcuna crescita economica ma gonfia le discariche, oggi ricche di oggetti di apparecchi ancora funzionanti, ma dismessi perché obsoleti. Abbiamo creato un marketing “a tre piedi” fatto di pubblicità, bilancio economico mondiale ed inquinamento materiale: la pubblicità ci ha inculcato il desiderio di possedere, ci ha resi talmente insoddisfatti da farci desiderare anche ciò che non ci serve. L’insoddisfazione e l’infelicità che ne deriva ci fa consumare di più; per consumare serve il danaro che non abbiamo a sufficienza; ecco quindi che intervengono le banche a prestarcelo e a spostare e concentrare i capitali in poche mani: il debito si moltiplica a dismisura e sempre più è richiesto al popolo di contribuire per far finta di cercare di estinguerlo.

Nel 2007 sono stati pagati 24 mila miliardi di dollari per salvare le banche.
Da Ivan Illich, filosofo, Latouche prende ad esempio la chiocciola: questa è l’emblema della lentezza ma è anche l’esempio della saggezza: la chiocciola costruisce la sua casa formando il 1 cerchio, il primo alveolo, poi fa il secondo che è il doppio del primo, fa il 3 che è quattro volte il primo, al quarto si ferma, la sua casa è sufficientemente grande, è ora di passare al consolidamento della casa e, fatto ciò vive in serenità il resto della sua vita.
Per l’uomo non è così, lui non si accontenta, costruita la sua prima casa, ne vuole un’altra e poi un’altra ancora, deve poi riempirla con mobili e suppellettili, desidera pure viaggiare e conoscere il mondo, insomma: si crea bisogni che non sempre sono necessari alla sua esistenza, e questi bisogni aumentano sempre di più, diventano bisogni infiniti … ma il guaio è che lui vive, noi tutti viviamo, in un mondo finito.

Prima c’era la convinzione che l’aria, l’acqua erano beni immateriali infiniti, ma dal dopoguerra in poi lo sfruttamento delle risorse del pianeta ha subito una fortissima accelerazione. Ma la società ha inferto un’accelerazione eccessiva alla crescita economica senza che per gli individui corrispondesse una possibilità di crescita che significhi felicità. Secondo Latouche, la crescita non aumenta il benessere, poiché implica una spesa per riparare i danni che essa stessa comporta. Ad esempio, per fare dieci km con la macchina occorre un litro di carburante, esaurito questo ne serve dell’altro e serve dell’altra energia per produrre un altro litro di carburante e così via. Tanta più energia va a trasformarsi in uno stato indisponibile, di ancora più energia si avrà bisogno e sempre più energia sarà sottratta alle generazioni future.
Il perseguimento indefinito della crescita è incompatibile con un pianeta finito e le conseguenze (produrre meno e consumare meno) sono lontane dall’essere accettate, e persino proposte. Latouche afferma che - se non si cambierà rotta - fra non molti anni sarà la catastrofe ecologica, il pianeta sarà completamente sfruttato e saturo di rifiuti senza possibilità per l’uomo di condurvi una vita degna di essere tale.
Allora - è questo il messaggio finale di Letouche - bisogna correre al più presto ai ripari, bisogna lasciare l’ideologia irrazionale e suicida della crescita, per risolvere invece i danni dello sfruttamento e dell’invasione dei rifiuti; bisogna  invertire la rotta, muovendoci verso una “società d’abbondanza frugale": non potremo avere felicità se non avremo la capacità di limitare i nostri bisogni. Questo significherà riorganizzarci, riorganizzare la società tutta.

Latouche propone il circolo virtuoso delle “8 erre”: innanzitutto resistere, resistere al consumismo, resistere e poi:

  • rivalutare i valori umani quali l’amore per la verità, il senso della giustizia, la responsabilità personale, il rispetto della differenza, la solidarietà;
  • riconcettualizzare, cioè ripensare ai concetti di ricchezza/povertà e rarità/abbondanza;
  • ridurre gli sprechi: i paesi ricchi producono 4 miliardi di tonnellate di rifiuti all’anno, mentre milioni di bambini del sud del mondo muoiono per fame, ridurre anche i tempi di lavoro, lavorare meno per lavorare tutti e per restituire tempo alla vita relazionale;
  • ristrutturare, riconvertire le industrie, ricercare energie rinnovabili, riorientare la ricerca scientifica verso una medicina ambientalista e non verso una ricerca che favorisca le industrie farmaceutiche;
  • riutilizzare, la crescita impone una obsolescenza programmata, ma oggi è urgente riciclare ciò che si è già prodotto;
  • redistribuire i diritti tra nord e sud del mondo, uscire dal gioco al massacro della globalizzazione, permettendo alle idee di ignorare le frontiere, bisogna rilocalizzare l’economia
  • rilocalizzare, limitare all’indispensabile i movimenti di merci e di capitali, vivere local, consumare cibi e prodotti a km 0, provenienti da un’agricoltura paesana, biologica, priva di pesticidi e più rispettosa della natura.
Questa può essere un’utopia concreta se solo lo vorremo, se ciascuno di noi sarà capace di cambiare nel proprio piccolo il modo di vivere, contenendo i bisogni e condividendo con il prossimo i beni che la natura continua, ancora oggi, gratuitamente ad offrirci. 

Annamaria Papaleo

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