mercoledì 12 giugno 2013

Abbandonare l’euro? – James Alexander Mirrlees (Trento, 2 giugno 2013)

Presentato da Tito Boeri, il Premio Nobel in economia del 1996 ha cercato di spiegare perché l’idea di abbandonare l’Eurozona, che finora è stato un tabù, non solo italiano, del dibattito politico, risulterebbe una decisione positiva per molte economie europee, tra cui sicuramente l’Italia e la Spagna. Secondo sir Mirrless nell’area dell’euro vi sono sistemi economici che devono rendere meno caro il prezzo dei beni che producono e contemporaneamente aumentare la base monetaria per finanziare una loro necessaria espansione fiscale. Il dilemma è come raggiungere questi due obiettivi senza distruggere la fiducia internazionale nei confronti del paese che intraprende questa strada, anche perché in numerose realtà i problemi al sistema produttivo sono accompagnati da dati occupazionali e fiscali molto pesanti.
Per l’economista l’errore fatale dell’attuale politica europea è quella del timingdelle misure di austerità: in una fase di depressione, come quella che stiamo attraversando, non è proprio il caso di attuare politiche che comprimono ulteriormente l’economia reale. L’Europa è una regione del mondo che, nella fase del ciclo in cui si trova, dovrebbe incrementare i suoi debiti pubblici nazionali piuttosto che ridurli: più cose si riescono a fare sul fronte della spesa in questo momento, più breve sarà il tempo che ci separa da quello in cui si potranno di nuovo stringere i cordoni della borsa pubblica.
Alla domanda se uscire dall'euro significhi fuggire, Mirrlees osserva che la crisi si può affrontare solo resistendo ad essa, ma combatterla può voler dire anche considerare percorribile l’”opzione della fuga". Ciò, a suo avviso, non costituirebbe un “ricatto”, ma semplicemente una specie di “negoziato” tra i paesi oggi in maggiore difficoltà economica, con elevati tassi di disoccupazione, e la Germania, che permetterebbe ai primi di salvare i loro sistemi economici. Quest’ancora di salvataggio dovrebbe essere poi accompagnata da politiche statali di espansione della domanda e da un taglio delle tasse e degli stipendi dei lavoratori con professioni poco qualificate e a bassa produttività. Il tutto per raggiungere un livello di piena occupazione. Mirrlees si dichiara apertamente un sostenitore del welfare state, per cui diminuzioni delle prestazioni di assistenza da parte dell’autorità pubblica sono ritenute decisamente inopportune. Ma come si fa, si chiede il Premio Nobel, a porre fine alle politiche europee di austerity se non lasciando l’euro? Ciò non sarebbe solo una possibilità teorica, anche se oggi sarebbe più difficile di quanto invece è stato ieri entrarci. Con l'euro i paesi sono entrati in un sistema di regole molto severo ed hanno in sostanza dovuto adottare la politica fiscale voluta dalle autorità nazionali tedesche. L'espansione di cui questi Paesi hanno invece bisogno deve essere finanziata sul versante monetario. L’economista scozzese ha nella sostanza illustrato un quadro generale del sistema economico europeo a geometria variabile, dove alcuni Stati “non se la cavano poi troppo male” (Germania, Polonia e Regno Unito) ed altri che hanno invece subito un crollo dei propri investimenti reali, con conseguenze “drammatiche” sull’occupazione e “meno drammatiche” sul loro livello di produzione. Per quanto riguarda il nostro paese, Mirrlees ritiene che il debito sia sempre stato un problema rilevante per il nostro sistema economico, ma che non è dato sapere con esattezza fino a che punto: “è difficile capire se è di per sé stesso un così grave problema”. Ci si deve preoccupare così tanto del debito? Sì sicuramente esiste un problema default, con tutte le spiacevoli conseguenze del caso, ma il debito di per sé è solamente un segnale del fatto che le istituzioni politiche spendono senza avere un controllo sulla spesa. 
La cosa più importante nella situazione attuale non è quella della riduzione del debito, ma quella di riportare il livello degli investimenti a quello antecedente l’inizio della crisi. La difficoltà sembra rintracciabile nella mancata volontà da parte dei soggetti finanziari, in primis delle banche, di erogare finanziamenti: la stessa politica monetaria ha fallito nel suo tentativo di intervento su questo versante. C’è chi pensava che un tasso d’interesse sulle operazioni di rifinanziamento della BCE attorno allo zero avrebbe aiutato in questa direzione, ma non ci si è chiesti se le banche avessero accettato tale politica, ovvero se avessero o no ripreso a finanziare i progetti delle imprese e delle famiglie. Il problema rilevante per sir Mirrless, infatti, è quello di capire come incoraggiare gli investimenti produttivi.  Una possibilità sarebbe quella di avere delle assicurazioni sui prestiti effettuati dalle banche, un’altra quella di avere degli istituti di credito pubblici.
La conclusione dello studioso è che oggi, forse, sono le stesse imprese a non voler più investire, perché ritengono probabile una prossima uscita dalla crisi e conseguentemente un prossimo rapido innalzamento del livello dei tassi di interesse, che ridurrebbe drasticamente i loro livello di profitti attesi.
In conclusione l’opzione di abbandonare l’euro potrebbe riguardare più di un paese sfiancato dalla crisi, dalla recessione e dalla deflagrazione dei debiti sovrani. Lo sconquasso dei sistemi economici è finora stata affrontato con “rigore feroce” da FMI, Commissione Europea e Banca Centrale Europea. Un rigore però che non si sa bene dove porterà: non si sa infatti se le misure adottate porteranno effettivamente ad avere i “conti in ordine”, ma nel frattempo sicuramente si saranno depressi i consumi e si saranno distrutti milioni di posti di lavoro.

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