Coordinato dalla giornalista Tonia Mastrobuoni, l’intervento di Salvatore Rossi al Festival dell’Economia è avvenuto all’interno della sessione “Incontri con l’autore” e si è articolato attraverso un dialogo con Marco Onado e Pier Carlo Padoan, per la presentazione ufficiale dell’ultima fatica letteraria del Direttore Generale della Banca d’Italia. Il libro “Processo alla Finanza” parte dalla constatazione che in tutto il mondo dopo lo scoppio dell’ultima crisi, i cui postumi sono ancora ben visibili, molte voci, sia di gente comune sia di insigni intellettuali, si sono levate a esecrare il mostro finanziario e l’impotenza dei popoli verso di esso. È questa una moderna caccia alle streghe, e quindi la finanza rappresenta la foemina instrumentum diabolicontemporanea o è invece una sacrosanta indignazione contro autentici soprusi? Su tale domanda fondamentale l’autore svolge una serie di riflessioni incastonate in una struttura formale che riproduce un vero e proprio processo, con tutte le garanzie procedurali democratiche, in cui si da equamente la parola all’accusa e alla difesa. L’idea dell’autore è stata quella di istruire un processo più articolato e meditato, con il beneficio del maggior tempo trascorso, di analogo artificio presentato nel 2009 proprio al Festival dell’Economia di Trento e di cui il professor Onado rappresentava la pubblica accusa. I passi procedurali si realizzano tramite l’identificazione dell’imputato, l’esposizione progressiva dei capi di accusa, dei fatti, degli argomenti dell’accusa e di quelli della difesa, cui si susseguono delle riflessioni che cercano di sceverare le buone ragioni dalle cattive sia nell’accusa sia nella difesa, lasciando comunque ai lettori, i giudici di questo processo, il compito di formarsi il proprio personale verdetto finale.
L’intento è stato quello di non precostituire una tesi preconcetta, un attacco demagogico alla finanza e a chi vi lavora o una loro difesa d’ufficio, ma piuttosto quello di contribuire a cercare di capire la realtà, usando tutta la neutralità ideologica ed emotivapossibile e attraverso un discorso comprensibile anche a chi tecnico non è, e non vuole diventarlo, ma vuole semplicemente formarsi un’opinione su una questione che è al centro del dibattito pubblico in tutto il mondo da almeno cinque anni.
Tre sono le categorie individuate per i potenziali imputati: i soggetti professionali privati che operano in campo finanziario (banche, gestori di fondi di investimento, di fondi pensione, di fondi sovrani, di hedge funds, amministratori di agenzie di rating, etc.), coloro che hanno responsabilità amministrative di regolazione e supervisione degli intermediari e dei mercati finanziari (organismi di vigilanza), nonché coloro che avendo responsabilità politiche contribuiscono a formare il quadro normativo-istituzionale di riferimento (governi e parlamenti). Tuttavia, poiché l’impressione è che la gente ce l’abbia con la finanza in quanto sistema, ossia in quanto abito mentale o schema concettuale e di comportamento, l’attenzione nella prima parte si incentra sul significato generale del termine finanza, indicata come insieme di strumenti per “traslare nel tempo e nello spazio la possibilità/capacità di procurarsi cose utili nell’immediato”.
Si invita poi il lettore a riflettere su tre concetti che vi sono in qualche modo connaturati quali quello di moneta, di credito e di assicurazione e agli elementi che questi fattori hanno in comune, ossia il fattore tempo e il nesso rischio/rendimento. Il trascorrere del tempo e i mutamenti che questo può portare, vengono appresi e interiorizzati dall’uomo attraverso la leva psicologica più potente ed efficace: quella dei desideri e dei bisogni. Imparare a proiettare un desiderio nel futuro o a prevedere un bisogno è un “salto evolutivo fondamentale”: se mi si delinea nella mente un desiderio o un bisogno futuro devo mettermi nelle condizioni di soddisfarlo. In tale maniera “l’uomo esce dalla barbarie dell’imminenza, dalla ferinità di una vita regolata dal consumo di sopravvivenza, che si esaurisce nell’attimo presente” (S. Rossi in “Controtempo. L’Italia nella crisi mondiale”). Il conflitto tra rischio e rendimento pone il problema di evitare la possibilità sempre concreta di non riuscire a soddisfare tale necessità e l’esigenza di massimizzare tale soddisfacimento attraverso un’opportuna valutazione e diversificazione del proprio portafoglio.
Cinque sono i capi d’accusa a carico della finanza: è destabilizzante, è irreale, è incomprensibile, è prodiga ed è irragionevole.
La finanza può destabilizzare intere economie e società e addirittura tutto il mondo. Dopo il fallimento della Lehman Brothers il PIL delle economie avanzate si è bruscamente ridotto con effetti ancora più gravi sul livello occupazionale e sulle casse pubbliche. È indubbio che nelle economie di mercato capitalistiche l’apparato finanziario generi ogni tanto delle esplosioni di instabilità che causano forti danni economici, impoverimento e fratture sociali.
L’accusa che la finanza sia irreale risale all’idea della distinzione concettuale tra “economia reale” ed “economia finanziaria”, in particolare la prima definita come quella parte dell’economia coinvolta nella produzione effettiva di beni e di servizi, la seconda individuata come quella parte che consiste nel comprare e vendere sui mercati finanziari. Che la finanza produca servizi per la società, i quali fanno parte a pieno titolo della produzione nazionale non sembra però poter essere messo in dubbio. La distinzione grossolana tra economia reale, buona e utile, e finanza irreale, cattiva e dannosa, contiene pertanto una contraddizione interna, perché la stessa attività di comprare e vendere sui mercati finanziari è essa stesso un servizio, prodotto a beneficio di qualcuno disposto ad attribuirgli un valore, anche se poi nessuno ci assicura che il valore attribuito ai servizi della finanza nei conti nazionali sia corretto ed è questo forse il vero problema.
La finanza risulta poi incomprensibile a causa del proliferare dei cosiddetti strumenti finanziari complessi, come ad esempio i derivati, a cui lavora ormai un esercito di matematici, fisici e ingegneri, il cui intento di distribuire il rischio non lo fa però scomparire miracolosamente. Tali strumenti possono venire facilmente trasformati da strumenti assicurativi in scommesse buone per fare del puro gioco d’azzardo, in alcuni casi persino truccato. Bisognerebbe allora che un’autorità pubblica facesse in modo, con regole appropriate e attenti controlli, che strumenti nati per accrescere il benessere della società non degenerino a vantaggio di pochi e a svantaggio di tutti gli altri e che le compravendite di derivati non avvengano over-the-counter, ma su mercati ufficiali e regolamentati attraverso un’intesa internazionale. Si sente inoltre l’esigenza di un’autorità pubblica globale che vigili sulla concorrenza nel mercato dei ratings e sulla correttezza di chi vi opera; bisogna insomma controllare le agenzie di rating che svolgono l’importante funzione di convogliare valutazioni professionali su chiunque intenda contrarre un debito a beneficio della sterminata platea dei potenziali creditori. Il mercato infatti è oggettivamente distorto dal fatto che in molti casi a pagare il servizio non sono i creditori ma gli stessi esaminati; inoltre la situazione risulta ulteriormente aggravata dal fatto che circostanze storiche hanno limitato a tre il numero degli operatori e li hanno concentrati in un solo paese. Delle cartolarizzazioni inoltre se ne è fatto un abuso sistematico, tollerato, quando non incoraggiato, da chi aveva invece la responsabilità di fissare paletti regolamentari e di vigilare sul loro rispetto.
La finanza è prodiga, nel senso che i guadagni dei professionisti della finanza ai livelli più alti hanno avuto un’escalationincontrollata, ostentatamente spropositata.
La finanza è irragionevole perché appare come un terreno di scorrerie di branchi in preda a emozioni irrazionali (euforia, panico e credulità), in cui facilmente una credenza diventa un feticcio e con la stessa rapidità, per uno stormir di fronde, il feticcio viene abbattuto e si afferma la credenza contraria, con lo stesso stolido conformismo.
I suggerimenti finali per il lettore, che formulerà il suo personale verdetto, sottolineano come lo sviluppo dei sistemi economici sia strettamente correlato allo sviluppo finanziario, ossia come la triade credito, moneta, assicurazione sia centrale per far funzionare e crescere qualsiasi economia, ovvero per poter aumentare le opportunità di benessere di tutti, purché si riesca a evitare disastri come quello che ha colpito il mondo nel 2008. Il problema diventa allora come riuscire a tenersi i benefici permanenti della finanza, evitando, il più possibile, il rischio che un suo cattivo uso causi, in un momento, tali e tanti danni da distruggere in poco tempo i benefici guadagnati in lunghi decenni. Il focus per Rossi deve allora concentrarsi sul punto di equilibrio tra libertà e regole. Questo, a suo giudizio, deve essere collocato più dalla parte delle regole che non da quella della libertà di azione nei mercati e ciò per due principali ordini di ragione. La prima perché la materia oggetto degli scambi di tipo finanziario è in ultima analisi la fiducia, che è impalpabile ma che è anche molto facile da perdere e che comunque rappresenta la base su cui poggia ogni comunità umana. La seconda perché è nella natura umana abusare dello strumento del debito e, di converso, del credito e perché è cruciale per tutte le economie bilanciarne i rischi e le opportunità. Mettere l’accento sulle regole per ovviare al fallimento del mercato non è quindi per l’autore un precetto da economia pianificata, ma una necessità essenziale per ogni sistema economico e un caposaldo del pensiero liberale.
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