Il professor Ugo Mattei si è ha esordito lamentandosi immediatamente del fatto di non essere stato invitato quest’anno al Festival dell’Economia di Trento per alcune sue “posizioni eterodosse” espresse l’anno prima durante quella manifestazione. Docente di diritto all’Università di Torino é stato tra i promotori del referendum sull’acqua pubblica del 2011. Ha inoltre ricoperto un ruolo importante nella cosiddetta Commissione Rodotà, che lo ha visto protagonista nell’elaborazione di una cornice giuridica capace di disciplinare la gestione dei beni collettivi. In particolare si è occupato delle loro dismissioni, ambito in cui i governi (nazionali e locali) hanno in passato goduto di piena discrezionalità e arbitrio, mancando qualsiasi principio giuridico ordinatore. Una condizione normativa obsoleta e del tutto inadeguata, ha spesso rischiato di privare la collettività di beni essenziali per la soddisfazione di bisogni fondamentali, costituzionalmente tutelati.
L’intervento vero e proprio è iniziato con quella che lui considera una vera e propria mutazione antropologica, supportata dal diritto e pienamente realizzata negli ultimi 25 anni: la considerazione dell’uomo esclusivamente come consumatore, con tutto quello che ne segue, come l’egoismo dell’“hic et nunc” e la perdita di relazionalità. Questo problema deriva dal vulnus di fondo che sta alla base del rapporto tra diritto e realtà: se il diritto non è altro che il superamento del limite attraverso un’astrazione mentale, il pericolo della fuga dalla realtà è dietro l’angolo. Come esempio Mattei ha parlato del concetto di persona giuridica, un ente la cui durata va oltre la vita delle persone che la compongono, così che il suo valore le trascende, fino ad inghiottirle e farle scomparire, con un passaggio di sovranità pericoloso. In quest’ottica è facile capire come si possa passare dai mercati reali a quelli finanziari. L’uomo rischia di figurare come un atomo alienato e interscambiabile con gli altri, quando piuttosto dovrebbe realizzarsi, comunicando all’interno di una comunità che lo valorizza. Bisogna sempre tener presente che l’essere umano deve essere il perno della bilancia e non una merce di scambio. Mattei ritiene ormai necessaria e non più rinviabile non una semplice ricerca sulle sole cause contingenti dell’attuale crisi, ma un ripensamento generale del “paradigma dominante”, sia sul lato economico che su quello politico e filosofico. L’economia deve tornare ad essere inquadrata per quello che è, un mezzo a disposizione degli uomini e non un loro fine.
L’intervento è continuato con la definizione di “bene comune”, un concetto mentale che però diventa concreto non appena la sua disponibilità viene a mancare, come può succedere, e secondo Mattei in Italia è successo spesso, in seguito a “liberalizzazioni” senza regole. Queste hanno rappresentato quasi sempre delle vittorie di interessi di parte, con privatizzazioni di utili e redistribuzioni di perdite. Lo studioso invita a prendere atto che “gestione pubblica” non significa però nemmeno “proprietà dei partiti”. La gestione dei beni pubblici deve basarsi su di una logica del tutto diversa, dove la “diffusione” del potere impedisca al “potente” di turno di decidere al posto di o contro tutti e dove la logica della tutela sia basata sulla prospettiva del “perdente”.Il punto di arrivo allora deve essere quello di un modello di socialità e partecipazione diffusa e diretta nella gestione dei beni comuni.
Come ha spiegato Mattei, rispondendo ad alcuni spunti del pubblico, l’Alterfestival può essere un appuntamento critico importante per la nostra società se permetterà la condivisione di un’analisi del funzionamento di quei meccanismi economici che hanno generato l’elusione della sovranità statale.
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